GIUSEPPE BARILARO

BIOGRAFIA E MOSTRE

Giuseppe Salvatore Barilaro nasce a Catanzaro il 16 Luglio del 1988. Dopo gli studi artistici effettuati presso l’Istituto Statale d’ Arte di San Giovanni in Fiore prosegue la sua istruzione laureandosi presso l’Accademia di Belle Arti di Catanzaro, indirizzo Decorazione, con votazione 110/110 cum laude.
Il suo modus operandi predilige la manipolazione di materiali “vergini”, usurabili ma anche duttili in modo da tracciare egli stesso il percorso di vita da infliggere sul materiale; ed è appunto con il legno, insito delle precedenti caratteristiche, che ha instaurato un imprinting inossidabile che tuttora porta avanti.
Nei suoi lavori, infatti, sarebbe riduttivo trattare lo studio delle forme trascurando il suo rapporto con la “materia”la quale fa da protagonista dell’opera stessa. Gli interventi che l’artista esegue sul corpo del supporto quali: combustione del legno; scuoiatura ed incisione dello stesso; trattamento con acrilici e colle distese e spellate, mostrano quindil’anima, il vigore e il vissuto alla figura tracciata.
La sua ricerca ossessiva di una verità che si cela al di sotto della pelle e delle apparenze, che va oltre un pregiudizio ambivalente rispetto al nostro credo, si rende nota in primis, in modo quasi didascalico, mediante la rappresentazione paradossale di un “Cristo sottoposto a confessione” in un’opera che lo ha reso 1° classificato del Premio Nazionale della Arti –M.I.U.R.; sezione PITTURA.
Successivamente inizia ad allontanarsi da uno stile “narrativo” prediligendo così forme e composizioni essenziali, quasi arcaiche, che rievocano la fermezza e tutta la sacralità tipica delle icone. A contrasto con tale morbidezza interviene il colpo inferto sul supporto che diventa così più cruento e deciso:sviscerante di una verità nascosta. Il risultato delle opere è un vero e proprio dialogo tra l’Io e le sue fattezze, in una lotta generatrice di un’eco ridondate impossibilitato ad esaurirsi nel tempo.

L’OBLIO DEI CORPI

Testo di:

Lorenzo Canova

Frammenti di figure ferite e lacerate, ectoplasmi incerti, allusi e cancellati, impronte e tagli che compongono un grande ciclo sull’apparizione e sull’oblio dei corpi: in una mostra articolata e ricca di nuove suggestioni, Giuseppe Barilaro presenta gli ultimi risultati della sua ricerca in cui si fondono influenze e risultati differenti.
L’apparato iconografico del giovane artista si colloca infatti in bilico tra Barocco e Informale, ci fa intuire le presenze di Leoncillo e di Mattia Preti, di Bernini e di Burri, evoca le geometrie dei polittici rinascimentali, segue lo splendido orrore di Bacon nell’antica centralità della figura nello spazio dipinto, cercata e stravolta con un’azione di cancellazione e di decostruzione. Non a caso, Barilaro colloca i protagonisti delle sue opere in una posizione che ricorda quella dei santi nelle pale d’altare del Rinascimento, accenna alla loro presenza e poi li sottopone a un’operazione rigorosa di annullamento, dove la materia abrasa segue i contorni corrosi di figure abrase di cui restano solo tracce di un colore quasi pietrificato, di un rosso che si trasforma in una sorta di corallo coagulato sul supporto.
Barilaro, in modo personale e coerente, lavora infatti sulla materia dell’opera, dilatandola, aggredendola e ferendola in una stratificazione raffinata e dolente, in una tessitura crudele e poetica dominata da una volontà costruttiva dove il colore e le graffiature evocano gli spettri del suo immaginario. Barilaro attraversa così la notte della visione, il buio fangoso della materia, cerca di scoprire piccole impronte nel labirinto oscuro di una pittura che si immerge nell’oscurità alla ricerca di una possibile redenzione.
Nelle opere più recenti, Barilaro ha rielaborato pertanto i ricordi delle sue precedenti presenze disegnative, legandoli a una nuova fusione cromatica dove le particelle iconiche tornano come brandelli che si fissano sul supporto come schegge di un possibile racconto per immagini.
Nelle sue Diegesi Barilaro si trasforma dunque nel narratore di storie oscure e segrete, nel forgiatore che fonde i brani del suo romanzo visivo, distillandoli nel crogiolo rovente della sua materia in cui il fuoco, la terra e il sangue si raggrumano su un sostrato annerito di cenere e di carbone, in un nero totale che parla della fiamma che lo ha generato e da cui la forma risorge come una stilla di sangue che si imprime sulla pietra.
Muovendosi da gocce dure di carminio e di porpora che sorgono sul nero e da suggestioni riemerse dalle cupe segrete di stanze della tortura, Barilaro ci pone di fronte a luoghi che raccontano la dimenticanza di un dolore millenario, erige architetture irreali, santuari illusori di antichi martìri percorsi dai suoi fantasmi senza identità, dai suoi viandanti che ritornano dall’oceano oscuro del tempo che li ha divorati e smarriti.
Barilaro ci riporta in questo modo a liturgie ormai dimenticate, a riti insensati, ai colori simbolici di antichi apparati trionfali, al lutto abbrunato della morte e al rosso trionfale della resurrezione, distilla gioielli di colore sul legno combusto, scava nella melma per riscoprire gemme preziose e palinsesti spariti di affreschi secolari.
I sacelli dell’artista sono abitati quindi da sculture che ritraggono uomini senza volto che il tempo sembra avere divorato senza pietà, lasciandoci soltanto le ultime parvenze della loro presenza terrena, sacerdoti di culti dispersi nel fiume sotterraneo dell’abbandono e del silenzio.
L’artista ci accompagna allora nei suoi giardini della memoria, ci accompagna fuori dal bosco inseguendo le sue forme invisibili, disegna pareti e arcate che prendono forma come tracciati fosforescenti incisi nel bitume della notte, ci fa immaginare Deposizioni dove le assemblee delle figure ripetono gesti e cerimonie di liturgie cancellate dal trascorrere dei secoli, conducendoci alla ricerca di un centro perduto, nei fondali cupi di una materia spessa e tormentata, dove si scopre il cuore pulsante celato sotto la coltre densa che ci nasconde la reale percezione del mondo.

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